A ciascuno il suo

L'ipocrisia è la legge non scritta, eppure trionfante, che domina la società in cui viviamo così coem quella che Leonardo Sciascia ci ha raccontato in A ciascuno il suo. L'Italia, che nell'immediato dopoguerra sembrava non solo poter ridiventare la fucina di idee che era stata nel Rinascimento, ma anche una nazione governata da gente equa e volenterosa, è, nel giro di pochi anni, e irrimediabilmente fino ad oggi, precipitata in un gorgo di corruzione e di ignavia. La nostra società è divenuta sempre più fatua, vacua, omologata, priva di valori. I cittadini italiani, in questo scorcio di millennio, dovrebbero imparare a recuperare la capacità d'indignarsi, di disprezzare tutto ciò che è inutile e ingiusto; e conseguentemente – in nome di una ritrovata coscienza civica – a ribellarsi. Invece tutto langue, tutto è in mano a personaggi senza carisma e senza morale: la politica, la legge, la cultura; e anche il cinema e il teatro. Il teatro non può continuare ad isolarsi dal contesto circostante, ad avvoltolarsi, ad avvizzire, ignorando i profondi mutamenti in atto nella nostra società.

Il teatro è vita! Il teatro deve avere un cuore. E come un cuore, infatti, pulsa la scena di A ciascuno il suo: ambienti borghesi, addirittura opulenti, d'un'eleganza barocca, intrisa di simboli cattolici, su cui svettano delle creature misteriose: i mostri di Villa Palagonia, a pochi chilometri da Palermo. Qualcosa di sinistro sta per accadere, all'inizio della nostra storia; qualcosa di losco si prepara, nel circolo della caccia. Alcuni dei personaggi sanno esattamente cosa accadrà, altri ne hanno soltanto sentore. Tutti sono pronti a tacere, a fingere, a dissimularsi. Ma al circolo della caccia arriva un intruso: il professor Laurana . Laurana è diverso dagli altri, ma non è un eroe: è soltanto un uomo che non conosce le regole del gioco.

Un gioco in cui tutti, in qualche modo, sono colpevoli: quasi come nell'Assassinio sull'Orient Express di Agatha Christie, ma in maniera più sottile e sordida; e dove ognuno ha una sua sostanziale responsabilità: per aver commesso il delitto, per averlo commissionato, per averne tratto dei vantaggi o per aver – meschinamente – finto di non vedere. Tutto è intrinsecamente siciliano e al tempo stesso universale, tutti fanno parte di questo gioco febbrile e disgustoso: il gioco in cui ci si spartisce il potere.

Ancora una volta, infatti, la Sicilia si fa metafora del mondo: ovunque la ragione dorme da tempo un sonno senza sogni. Ma è giunta l'ora che la ragione si risvegli. In ognuno di noi!