I persiani

locandina persiani

Note di regia

Quest'opera è la più antica tragedia che ci sia pervenuta integra. Che vuol dire la più antica opera teatrale che possediamo

La scomparsa di Majorana

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La scomparsa di Majorana
Note di regia

In una stagione come quella che stiamo vivendo, caratterizzata dallo sfaldamento dei valori morali, dall'esaltazione dell'ego, dall'ansia del profitto e dalla deriva della scienza, è necessario rievocare figure come quella di Ettore Majorana. Scomparso nel 1938, partito in nave da Palermo ma apparentemente mai approdato a Napoli, il giovane e promettente fisico siciliano, chiuso in se stesso e concentrato su studi di cui non parlava con nessuno, aveva forse intuito prima d'ogni altro la strada per la creazione di una devastante arma nucleare; e ne era rimasto atterrito, e aveva voluto estraniarsi dal mondo prima che questo precipitasse nel baratro dell'era atomica.

Questa, almeno, è la tesi di fondo di uno dei maggiori autori del '900, Leonardo Sciascia, che allo scienziato e al suo dramma interiore ha dedicato uno dei suoi libri più illuminanti: La scomparsa di Majorana. E questa vuole essere la nostra convinzione – oggi, a ottant'anni di distanza dei tragici eventi del '38 e a trenta dalla morte dell'autore de Il giorno della civetta – perché a volte, più che la laboriosa ricostruzione di eventi e dettagli, conta il senso delle cose. E il senso della vicenda di Majorana è che non c'è futuro per l'umanità senza l'etica, senza la sincerità, senza la poesia.

Questo spettacolo è un'indagine poliziesca, è un thriller ad orologeria, è un sogno ad occhi aperti. Una notte d'agosto del 1945, una località italiana che non viene mai definita, le rappresaglie dei partigiani, il caos. Uno studio, in un ospedale di provincia; una donna che, dopo aver ucciso da partigiana, è tornata a indossare il camice bianco: per medicare, per guarire. Un uomo, avvolto in una tunica da certosino, che rifiuta di rivelare la propria identità. Un commissario di pubblica sicurezza che crede di riconoscere, nei tratti del monaco, quelli di Ettore Majorana, al quale invano ha dato la caccia per tanto tempo. Laura Fermi, la moglie dell'illustre premio Nobel, chiamata a identificare il giovane scienziato dileguatosi nel nulla. Questi quattro personaggi, per tutta la notte, oltre l'alba, fino al tragico scioglimento dell'enigma, daranno vita ad una sorta di processo: dove l'intruso si trasformerà da imputato in accusatore, da inquisito in voce della coscienza.

Poco alla volta, emergeranno i tormenti di un genio che avrebbe potuto cambiare il destino dell'umanità, e che invece ha preferito essere un ragazzo schivo, per nulla competitivo o in cerca della gloria. Spesso isolato, con rarissimi amici. Alcuni di questi, nella Germania che nel '45 ha appena perso la guerra. Ciò ha alimentato, nei decenni successivi, la detestabile ipotesi che Majorana avesse simpatie naziste. Non le aveva – le sue lettere in proposito sono abbastanza chiare – come non le aveva Heisenberg, che di Majorana era stato mentore e giuda nell'ambiente dell'Università di Lipsia, dove si discuteva di fisica come di filosofia e dove Ettore era davvero a suo agio. Sì, perché questa storia è anche la dimostrazione del fatto che non è così semplice dividere il UN’IDEA MORTA PRODUCE PIÙ FANATISMO DI UN’IDEA VIVA.

 

Todo Modo

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Note di regia

Il potere è altrove. Con questa affermazione – secca, lapidaria – Leonardo Sciascia chiuse, nel lontano 1983, la propria esperienza parlamentare. In poco meno di quattro anni, aveva potuto constatare che le decisioni più importanti, per il Paese e per i suoi cittadini, venivano solo formalmente prese alla Camera dei Deputati o nel Senato della Repubblica. Altrove, lontano da quelli che vengono considerati i luoghi in cui si amministra il potere, forze occulte, nascoste, impalpabili segnavano e segnano – allora come ora – il destino dell’Italia. Atroce realtà, che Sciascia aveva già intuito, in uno dei suoi romanzi più famosi, scritto quasi dieci anni prima: Todo modo. Un’impietosa denuncia dei mali che affliggono la società italiana, e non solo: la corruzione, la schizofrenia del potere e, ancor di più, una dilagante, inarrestabile mancanza di idee.
Un libro profetico, dunque, illuminante: che adesso diventa uno spettacolo grandioso, interpretato da nove attori, fedele alla poetica sciasciana, che ribalta le regole del poliziesco. Nel giallo tradizionale, infatti, il crimine giunge a rompere l’equilibrio di una società perfetta;
solo attraverso la scoperta e la punizione del colpevole la ferita, nel tessuto sociale, si
rimargina: e tutto torna come prima, come se nulla fosse accaduto. Nelle opere
di Sciascia, invece, la società è tutt’altro che perfetta, ed il delitto è come un vaso di Pandora: dal quale fuoriesce l’ingiustizia che permea le nostre società. Il crimine appartiene all’uomo e alla società malata che l’uomo ha creato. Perciò, spesso, è impossibile individuare il colpevole, i colpevoli.
Simenon diceva che esistono solo vittime e non colpevoli; Sciascia sembra quasi ribaltare questa affermazione: tutti potrebbero essere colpevoli. In Todo modo, per esempio, alcuni tra i più importanti uomini politici, industriali, rappresentanti del clero, riuniti in un luogo misterioso – l’Eremo di Zafer – per praticare gli esercizi spirituali, vengono assassinati da una mano misteriosa.
Uno dopo l’altro. Ne nasce un’inchiesta intricatissima, in cui rimangono invischiati il procuratore Scalambri ed un famoso scrittore, capitato per caso nell’Eremo di Zafer. Un’inchiesta irta di ostacoli, che rischierebbe di far saltare i meccanismi del potere. Ma, contro
lo Scrittore e il Procuratore, dapprima nella dorata e sfavillante hall di questo luogo misterioso, quindi nel marcescente sotterraneo ove troneggia la copia de La tentazione di Sant’Antonio di Rutilio Manetti che aveva ispirato lo stesso Sciascia, si erge non solo il muro di omertà degli ospiti dell’eremo, ma soprattutto la personalità, al tempo stesso terribile ed affascinate, di Don Gaetano. In apparenza, semplicemente un gesuita, che ha organizzato gli esercizi spirituali; in verità, un personaggio assai complesso, un essere astuto, colto, cinico, dotato di un’intelligenza superiore, che appartiene alla genia dei cattivi dei romanzi gotici, o a quella degli antieroi della letteratura russa, dal Grande Inquisitore di Dostoevskij al Demone di Lermontov.
Nel corso dello spettacolo, dunque, mentre gli eventi si susseguono a ritmo incalzante,
quasi come nei romanzi di Agatha Christie, i protagonisti – uomini con idee e visione del
mondo totalmente differenti – si scontrano e si confrontano. Cos’è giusto, e cosa non lo è? A cosa deve aspirare, in cosa deve credere un individuo, una società, l'umanità? Tutte domande che ci tormentano a cui, da millenni, noi e i nostri simili cerchiamo invano una risposta. Trovare questa risposta, oggi più che mai, e però impellente. E il teatro espressione fra le più antiche dell'anima umana, nata in caverne rischiarate dal traballante chiarore del fuoco migliaia di anni fa come fusione di sacro, arte e magia - non può sottrarsi al suo compito. Non può non provare a rappresentare il contropotere della verità.

Il re muore

locandina il re muore

Il re muore
Note di regia

Il regno di Bérenger è ormai alla deriva e quello che dovrebbe essere un re alla guida di un popolo è soltanto un uomo in decadimento. Le due regine, l’istitutrice Marguerite e l’amorevole Marie, dopo aver saputo dal medico che il re morirà, discutono su come informarlo.
Bérenger apprende la notizia ma, nonostante il suo corpo manifesti forti segni di cedimento, non vuole accettare che la sua ora è vicina e tenta in tutti i modi di convincere gli altri.
Solo quando scopre che i suoi poteri non lo assistono più, realizza che il suo tempo sta per scadere e acconsente che venga celebrato il rito di preparazione alla sua morte.

Al suo apparire sulle scene parigine nel dicembre 1962, Il Re muore fu salutato da una larga parte della critica come il vertice più alto raggiunto dalla creazione drammatica di Ionesco; taluni, anzi, non hanno esitato a inserire l'opera tra quelle piú significative del teatro contemporaneo. A proposito di questo testo, il critico e studioso inglese Martin Esslin ha scritto: «La commedia di Ionesco non è un'allegoria; come la maggior parte delle commedie del Teatro dell'Assurdo, è un'immagine poetica della condizione umana, forse piú semplice, piú avanzata delle prime opere dello scrittore, ma anche piú potente, piú controllata, piú classica nella forma. Si direbbe che Ionesco abbia assorbito alcune linearità formali di Beckett e alcune ritualità di Genet. Una commedia profonda e bellissima... Un capolavoro della letteratura drammatica moderna».


Gian Renzo Morteo